Quella dei capricci è una questione difficile e delicata, perché, nel momento del capriccio, noi genitori sentiamo l`angoscia e la rabbia nostra che cresce assieme all`angoscia e alla rabbia del bambino. Sentiamo la provocazione, la sfida, ma anche il senso di impotenza: nostro, sì, però anche suo. E la delusione, e la pretesa, e lo sconforto: nostri, ma anche suoi. È facile, allora, che perdiamo le staffe e assumiamo comportamenti reattivi (di cui, magari in tempi successivi, è probabile che ci pentiremo): o eccessivamente restrittivi, o eccessivamente permissivi. Atteggiamenti comunque eccessivi.
È allora importante potersi orientare, almeno a grosse linee, sia per cercare di prevenire i capricci, sia per riuscire a venirne a capo in modi adeguati, una volta che il capriccio è scoppiato.
I capricci sono fenomeni relazionali. Troppo spesso viene da considerare il capriccio come fosse una cosa che riguarda soltanto il bambino. Con l`aggettivo “capriccioso”, si è tentati di ridurre il capriccio addirittura a una caratteristica personale del bambino. Ma non esiste nessun bambino che faccia un capriccio quando si trova da solo. Perché si strutturi un capriccio, è necessaria la compresenza del bambino e di un qualche adulto cui il bambino è e si sente affidato. I capricci, infatti, sono fenomeni relazionali. Nascono all`interno della relazione, si svolgono all`interno della relazione e mirano (sia pure malamente) a modificare qualche cosa di importante nella relazione.
I capricci si svolgono sempre su due piani. Sembrerebbe impossibile che un bambino sia davvero angosciato e davvero furibondo solo perché, per esempio, al supermercato vuole il gelato e la mamma non glie lo vuole comprare. Sembra davvero una assoluta insensatezza che dia tutta quella importanza a un gelato. Anche per questo il suo capriccio suscita risposte così irritate e controaggressive.
Il fatto è che i capricci si svolgono sempre su due piani: l`uno, quello esplicito, che coinvolge cose sciocche pressoché irrilevanti per entrambi i partner relazionali (come il gelato dell`esempio); l`altro, quello importante, implicito, di cui entrambi non sono consapevoli, se non in modo piuttosto vago. Per di più, quasi sempre ne è un pochettino più consapevole il bambino che non il genitore.
Il piano esplicito. Qualsiasi oggetto, o azione, o evento, o possibilità può essere il centro attorno al quale si struttura il piano relazionale esplicito del capriccio. Da parte dell`adulto, la cosa per cui viene scatenato il capriccio è sempre considerata di per se stessa una sciocchezza: o per la qualità (“Ma insomma: basta! Non è che un gelato!”), o per la quantità (“Smettila! Te l’ho già preso tre volte, oggi!”). Al contrario, per il bambino la cosa sembra avere assunto un`importanza assoluta, quasi fosse questione di vita o di morte. Il fatto è che, sotto sotto, anche per il bambino la cosa esplicita non ha un grande valore di per se stessa. Ha valore, sì, ma come rappresentante di quello che si svolge sull`altro piano: quello importante, quello implicito.
Il piano importante, implicito. Il piano importante, implicito, quasi mai è immediatamente evidente, anche se gli indizi di esso sono sempre squadernati lì davanti agli occhi, pronti ad essere decifrati per chi li sappia cogliere. Il bambino fa di tutto (malamente, purtroppo per entrambi) per far cogliere all`adulto questi indizi, però senza quasi mai riuscirci, soprattutto a causa dei modi rabbiosi, rivendicativi, irritanti messi in atto.
Quello che si gioca sul piano importante, implicito, può riguardare molti aspetti della vita mentale e relazionale del bambino, della vita mentale e relazionale dei genitori, e - direttamente - della relazione tra il bambino e l`adulto cui egli si trova affidato (che non è detto debba necessariamente essere uno o entrambi i genitori). I più frequenti aspetti in gioco (visti dalla parte del bambino) sono i seguenti:
a) “Ho bisogno di un segno concreto del tuo amore per me, perché non sono sicuro che tu (in questo momento, o in questo periodo, o in ogni momento) mi ami”.
Questo bisogno di rassicurazione sull`essere amato può dipendere da moltissime circostanze. Potrebbe essere che il genitore in quel periodo è davvero distratto da preoccupazioni e problemi “da grandi”, che lo allontanano mentalmente e magari anche fisicamente dal bambino (questioni di lavoro, disgrazie, difficoltà economiche, difficoltà relazionali col partner amoroso, studio, attesa di una promozione, forte interesse per qualche cosa, ecc.).
Può essere che il bambino dubiti dell`amore dei genitori per lui, perché è in arrivo (o è già arrivato) un fratellino o una sorellina. “Che bisogno avevano di farne un altro? Forse li ho delusi”.
Il bambino potrebbe essere angosciato perché ha sentito che mamma e papà intendono separarsi, o ha visto che realmente si sono separati. “Se si separa da papà, magari questa qui si separa anche da me, e io resto tutto solo”.
Ma ci possono essere altre motivazioni, quali il sentirsi in colpa verso l`adulto: “Ho bisogno di essere rassicurato che la mia colpa non ha fatto venir meno il tuo amore per me”. Oppure: “Mi sento trascurato su qualche cosa di importante per me, per cui ho bisogno di un gesto concreto che mi testimoni che mi vuoi bene”; “Sento te come distratto, addolorato, depresso, preoccupato, fragile, bisognoso, confuso, entusiasta per qualcosa d`altro, ecc., per cui temo (o percepisco) di avere perduto il tuo amore, e cerco una rassicurazione. Ho bisogno di mettere te alla prova”.
b) “Ho bisogno di sapere quanto potere ho io, sia in assoluto sia nella relazione con te”.
Il potere è quella funzione relazionale che fa sì che un`altra persona faccia qualche cosa che altrimenti non farebbe. “Ho bisogno di mettere me alla prova”. Posso anche avere bisogno di verificare quanto tu accetti che anche io possa avere un po` di potere su di te, e non solo tu su di me. Posso, infatti, essere angosciato sia se ho troppo potere sia se ne ho troppo poco. Ho bisogno di verificare quanto potere ho, da un lato per non sentirmi in balia soltanto di me stesso (cioè: non affidato a nessuno), e dall`altro lato per non sentirmi schiacciato dalla prepotenza degli altri, te compreso.
Percepire di avere un effettivo potere è spesso una scorciatoia per riuscire a percepire se stesso come soggetto della propria vita e della propria esperienza nella propria rete relazionale, e non come sottomesso. Certi atteggiamenti realmente prepotenti, realmente “sadici”, nascono dall`incapacità di soddisfare in altri modi il fondamentale bisogno di sentirsi riconosciuto come soggetto.
c) “Ti segnalo che non stai gestendo adeguatamente il tuo potere con me, mentre io ho bisogno che tu lo eserciti adeguatamente, in modo più chiaro, coerente ed esplicito, così che io possa orientarmi meglio e trovare così sicurezza”. In questo caso, col capriccio il bambino provoca l`adulto, per poter avere la percezione di essere importante per lui. Gli segnala che ha bisogno che nelle interazioni con lui vengano attivate funzioni “paterne”, benevoli ma ferme, che sanciscano i limiti e le regole. Ha bisogno, in sostanza, che l`adulto gli dica “No”, con fermezza e con chiarezza.
Spesso, quella di ricevere regole ben definite e vincolanti è un`esigenza di percepire attorno a sé un mondo in cui ci si possa muovere con una sufficiente sicurezza, come potrebbe essere per noi adulti l`esigenza che si installino dei chiari ed univoci segnali stradali nel traffico convulso. La fermezza, la coerenza e la sensatezza nel porre le regole fanno parte dell`amorevolezza. E il bambino lo sente.
d) “Ho bisogno di sapere se la persona cui sono affidato è sufficientemente stabile e forte”.
Poche cose sono così angoscianti per un bambino come il constatare che l`adulto cui è affidato è una specie di fragile marionetta in suo potere. L`insicurezza devastante che ne deriva talvolta viene dal bambino affrontata assumendo lui la parte di quello “forte”, che impone il proprio volere. Ma, inevitabilmente, lo farà come può farlo un bambino, senza gran che di esperienza di vita. Sarà, allora, una specie di caricatura di “forza” e di “sicurezza”. Tenderà, così, ad assumere atteggiamenti dispotici, dittatoriali, che rischiano addirittura di intimidire l`adulto insicuro, soprattutto se si sente per qualunque motivo colpevolizzato verso il bambino medesimo.
e) “Ho bisogno di sapere che non sono solo affidato a te, ma che ho anche un certo grado di autonomia da te”.
Fin dall`epoca dell`allattamento il bambino ha, sì, bisogno di affidarsi e di dipendere dalla mamma, ma ha anche bisogno di sentire riconosciuto un certo grado (all`inizio piccolissimo) di autonomia (nel ritmo e nella durata della suzione, per esempio).
Quando un bambino sente preclusa ogni possibilità di riconoscimento delle sue proprie competenze e del suo proprio realistico grado di autonomia, è possibile che, prima di disperarsi del tutto, cerchi di “forzare” l`adulto con dei capricci. Il guaio è che, di solito, in tal modo ottiene il risultato opposto: si fa percepire, infatti, come troppo piccolo, inaffidabile, “capriccioso”, da tenere ancor più sotto tutela.
f) “Ho bisogno di percepire me come soggetto della mia vita e ti segnalo la necessità che tu te ne accorga e che mi riconosca in questo mio bisogno”.
Per il benessere psichico e relazionale, un elemento di base indispensabile è avere la possibilità di sentirsi, di essere, e di essere riconosciuto dagli altri come soggetto della propria vita e della propria esperienza. Il bambino ha bisogno che sia sistematicamente riconosciuto dagli adulti che si occupano di lui il valore del suo sentire, del suo pensare, del suo desiderare e del suo volere. Questo non vuol dire che gli si debba dare il potere su tutto e su tutti, o che si debba sottomettersi al suo pensiero o al suo sentire, o che ogni suo desiderio debba essere legge. Quello che lui sente, pensa, desidera e vuole è importante, se ne tiene conto, ma deve inserirsi nel mondo complessivo guidato dagli adulti, in cui le leggi le stabiliscono i grandi. Per il bambino, come del resto per tutti noi, è più importante sentirsi riconosciuto come soggetto desiderante, piuttosto che non ottenere la cosa desiderata. Si può riconoscere che, sì, il gelato è una gran bella cosa (anche se i dietisti, giustamente, non sono affatto d`accordo...), ma che questa volta non lo si compera.
Ricapitolando e precisando: gli ambiti in cui si muovono le interazioni sul piano relazionale importante, implicito, del capriccio sono, dunque: l`amore; il potere mio; il potere tuo; la forza, la stabilità e la chiarezza; l`essere affidato e l`essere emancipato; la soggettività.
Comunque sia, tanto sul piano relazionale esplicito di superficie, quanto su quello implicito, nell`attivarsi di un capriccio avvengono delle interazioni che è possibile riconoscere e che è necessario gestire in quanto tali su tutti due i piani. Il bambino, nel momento in cui chiede qualche cosa attraverso un capriccio, immette sui due piani della relazione almeno quattro elementi: 1) il desiderio di superficie (per esempio: il famoso gelato), collegato con il bisogno profondo (per esempio: la rassicurazione sull`essere amato, o la chiarezza del rapporto di potere); 2) l`aspettativa deludente e angosciante che il desiderio di superficie non verrà soddisfatto e che il bisogno profondo verrà misconosciuto; 3) l`espressione rabbiosa e la protesta contro questa prevista frustrazione; 4) la spinta per costringere l`interlocutore a modificare il proprio atteggiamento.
È ben comprensibile, allora, che l`adulto, che si sente investito dalla turbolenza di queste “onde” relazionali (angosciate, accusatorie, pretestuose, rabbiose), possa perdere l`orientamento e annaspare.
Si resta spesso fissi sul piano di superficie. Per come si presenta il fenomeno “capriccio”, quasi mai i due che vi si trovano coinvolti (bambino e adulto) arrivano a cogliere e a “negoziare” il rapporto sul piano relazionale importante, che così rimane implicito: si fermano (quasi) sempre al solo piano di superficie, che, come entrambi più o meno chiaramente sanno, è pretestuoso. Questo ingenera frustrazione e rabbia in entrambi, sia nel mentre che si svolge la relazione del capriccio sia dopo, quando il capriccio è stato accantonato.
Quasi mai il capriccio viene superato. Per fare questo, è indispensabile che sia individuato il piano importante implicito e che le interazioni proseguano su quel piano, abbandonando quello pretestuoso di superficie. Anziché risolto o superato, quasi sempre il capriccio viene accantonato, perché le interazioni permangono fino alla fine dell`episodio solo sul di per se stesso irrilevante piano pretestuoso, e lasciano immodificata ogni cosa sul piano importante, implicito.
L`uscita dall`episodio relazionale del capriccio, infatti, quasi sempre avviene quando uno dei due “cede”, “dandola vinta” all`altro sul piano pretestuoso, cosa che risulta frustrante per entrambi i partner relazionali, e che lascia in entrambi uno strascico di rancore e livore. Entrambi si sentiranno cattivi, e quindi in colpa: sia il “vincitore” sia il “vinto”, comunque siano andate a finire le cose.
La rabbia. La rabbia che investe i partner relazionali durante l`episodio “capriccio” ha molte motivazioni, la principale delle quali è il senso di impotenza legato al fatto che si percepisce che ci si sta occupando di una stupidaggine, mentre il vissuto è quello di chi sta trattando qualche cosa di vitale. È principalmente l`equivoco che fa arrabbiare, il sentirsi non capiti, non considerati e, soprattutto, contraddetti su qualcosa di importante che viene misconosciuto. E che permane misconosciuto, anche quando uno dei due la spunta. In ogni caso i due restano rabbiosi, anche quello che viene accontentato, sia esso il genitore o sia il bambino.
Pubblicità televisiva e capricci. La pubblicità televisiva, nella quale sono quotidianamente immersi i nostri bambini (come del resto noi genitori), favorisce gli equivoci fra oggettino posseduto e realizzazione di sé, fra oggettino donato e relazione di amore. Essa è, quindi, un potente terreno preparatorio per l`instaurarsi della relazionalità “capriccio”, che, per l`appunto, è strutturata sulla sostituzione di un piano profondo importante con un effimero piano superficiale concreto.
Attenzione: non tutto è “capriccio”. Ci sono espressioni eclatanti di angoscia disperata che non sono “capricci” e che sarebbe deleterio considerare tali. In esse, è differente la struttura relazionale: manca il livello superficiale esplicito concreto (come il gelato dell`esempio ricorrente).
Il bambino, per esempio, si rotola per terra, gridando disperato che a scuola non ci vuole andare. È visibilmente angosciato, ma sembra non sapere o non osare dire perché. Al bambino viene da imboccare la strada di questo tipo di attivazione relazionale così clamorosa (anziché le usuali modalità comunicative) quando sente o pensa di non poter trovare ascolto o aiuto per ciò che lo angoscia oltre misura. Può essere che si vergogni o che si senta in colpa a mostrare ai genitori la propria angoscia e la situazione che la genera, e che dia per scontato che o non verrà creduto, o verrà disprezzato, o verrà sgridato e punito.
L`angoscia può essere innescata dalla paura per un pericolo reale (Per esempio: “Ci sono dei grandi che mi minacciano”), o per la previsione di una intollerabile umiliazione (“Dovrò cantare davanti a tutti, e non sono capace”).
Queste comunicazioni disperate devono essere prese molto sul serio, facendo sentire al bambino che si ha una genuina intenzione di capirlo e di aiutarlo, e che si sta dalla sua parte. Bisognerà cercare di comprendere che cosa lo angoscia e perché, aiutandolo poi ad affrontare la situazione in modi realistici ed efficaci, magari inventando insieme opportune “strategie”. Spesso, già il solo percepire di essere stato preso davvero sul serio costituisce un valido aiuto, che facilita in lui il reperimento e l`attivazione di proprie adeguate risorse.
Paolo Roccato - "Come nascono i capricci"