venerdì 10 luglio 2015

Come nascono i capricci

Utilissimo articolo di Paolo Roccato (pubblicato sul bimestrale "Un Pediatra per Amico" maggio giugno 2007) su come capire e gestire i capricci dei bambini



Quella dei capricci è una questione difficile e delicata, perché, nel momento del capriccio, noi genitori sentiamo l`angoscia e la rabbia nostra che cresce assieme all`angoscia e alla rabbia del bambino. Sentiamo la provocazione, la sfida, ma anche il senso di impotenza: nostro, sì, però anche suo. E la delusione, e la pretesa, e lo sconforto: nostri, ma anche suoi. È facile, allora, che perdiamo le staffe e assumiamo comportamenti reattivi (di cui, magari in tempi successivi, è probabile che ci pentiremo): o eccessivamente restrittivi, o eccessivamente permissivi. Atteggiamenti comunque eccessivi.
È allora importante potersi orientare, almeno a grosse linee, sia per cercare di prevenire i capricci, sia per riuscire a venirne a capo in modi adeguati, una volta che il capriccio è scoppiato.


I capricci sono fenomeni relazionali. Troppo spesso viene da considerare il capriccio come fosse una cosa che riguarda soltanto il bambino. Con l`aggettivo “capriccioso”, si è tentati di ridurre il capriccio addirittura a una caratteristica personale del bambino. Ma non esiste nessun bambino che faccia un capriccio quando si trova da solo. Perché si strutturi un capriccio, è necessaria la compresenza del bambino e di un qualche adulto cui il bambino è e si sente affidato. I capricci, infatti, sono fenomeni relazionali. Nascono all`interno della relazione, si svolgono all`interno della relazione e mirano (sia pure malamente) a modificare qualche cosa di importante nella relazione.


I capricci si svolgono sempre su due piani. Sembrerebbe impossibile che un bambino sia davvero angosciato e davvero furibondo solo perché, per esempio, al supermercato vuole il gelato e la mamma non glie lo vuole comprare. Sembra davvero una assoluta insensatezza che dia tutta quella importanza a un gelato. Anche per questo il suo capriccio suscita risposte così irritate e controaggressive.
Il fatto è che i capricci si svolgono sempre su due piani: l`uno, quello esplicito, che coinvolge cose sciocche pressoché irrilevanti per entrambi i partner relazionali (come il gelato dell`esempio); l`altro, quello importante, implicito, di cui entrambi non sono consapevoli, se non in modo piuttosto vago. Per di più, quasi sempre ne è un pochettino più consapevole il bambino che non il genitore.


Il piano esplicito. Qualsiasi oggetto, o azione, o evento, o possibilità può essere il centro attorno al quale si struttura il piano relazionale esplicito del capriccio. Da parte dell`adulto, la cosa per cui viene scatenato il capriccio è sempre considerata di per se stessa una sciocchezza: o per la qualità (“Ma insomma: basta! Non è che un gelato!”), o per la quantità (“Smettila! Te l’ho già preso tre volte, oggi!”). Al contrario, per il bambino la cosa sembra avere assunto un`importanza assoluta, quasi fosse questione di vita o di morte. Il fatto è che, sotto sotto, anche per il bambino la cosa esplicita non ha un grande valore di per se stessa. Ha valore, sì, ma come rappresentante di quello che si svolge sull`altro piano: quello importante, quello implicito.


Il piano importante, implicito. Il piano importante, implicito, quasi mai è immediatamente evidente, anche se gli indizi di esso sono sempre squadernati lì davanti agli occhi, pronti ad essere decifrati per chi li sappia cogliere. Il bambino fa di tutto (malamente, purtroppo per entrambi) per far cogliere all`adulto questi indizi, però senza quasi mai riuscirci, soprattutto a causa dei modi rabbiosi, rivendicativi, irritanti messi in atto.
Quello che si gioca sul piano importante, implicito, può riguardare molti aspetti della vita mentale e relazionale del bambino, della vita mentale e relazionale dei genitori, e - direttamente - della relazione tra il bambino e l`adulto cui egli si trova affidato (che non è detto debba necessariamente essere uno o entrambi i genitori). I più frequenti aspetti in gioco (visti dalla parte del bambino) sono i seguenti:
a) “Ho bisogno di un segno concreto del tuo amore per me, perché non sono sicuro che tu (in questo momento, o in questo periodo, o in ogni momento) mi ami”.
Questo bisogno di rassicurazione sull`essere amato può dipendere da moltissime circostanze. Potrebbe essere che il genitore in quel periodo è davvero distratto da preoccupazioni e problemi “da grandi”, che lo allontanano mentalmente e magari anche fisicamente dal bambino (questioni di lavoro, disgrazie, difficoltà economiche, difficoltà relazionali col partner amoroso, studio, attesa di una promozione, forte interesse per qualche cosa, ecc.).
Può essere che il bambino dubiti dell`amore dei genitori per lui, perché è in arrivo (o è già arrivato) un fratellino o una sorellina. “Che bisogno avevano di farne un altro? Forse li ho delusi”.
Il bambino potrebbe essere angosciato perché ha sentito che mamma e papà intendono separarsi, o ha visto che realmente si sono separati. “Se si separa da papà, magari questa qui si separa anche da me, e io resto tutto solo”.
Ma ci possono essere altre motivazioni, quali il sentirsi in colpa verso l`adulto: “Ho bisogno di essere rassicurato che la mia colpa non ha fatto venir meno il tuo amore per me”. Oppure: “Mi sento trascurato su qualche cosa di importante per me, per cui ho bisogno di un gesto concreto che mi testimoni che mi vuoi bene”; “Sento te come distratto, addolorato, depresso, preoccupato, fragile, bisognoso, confuso, entusiasta per qualcosa d`altro, ecc., per cui temo (o percepisco) di avere perduto il tuo amore, e cerco una rassicurazione. Ho bisogno di mettere te alla prova”.
b) “Ho bisogno di sapere quanto potere ho io, sia in assoluto sia nella relazione con te”.
Il potere è quella funzione relazionale che fa sì che un`altra persona faccia qualche cosa che altrimenti non farebbe. “Ho bisogno di mettere me alla prova”. Posso anche avere bisogno di verificare quanto tu accetti che anche io possa avere un po` di potere su di te, e non solo tu su di me. Posso, infatti, essere angosciato sia se ho troppo potere sia se ne ho troppo poco. Ho bisogno di verificare quanto potere ho, da un lato per non sentirmi in balia soltanto di me stesso (cioè: non affidato a nessuno), e dall`altro lato per non sentirmi schiacciato dalla prepotenza degli altri, te compreso.
Percepire di avere un effettivo potere è spesso una scorciatoia per riuscire a percepire se stesso come soggetto della propria vita e della propria esperienza nella propria rete relazionale, e non come sottomesso. Certi atteggiamenti realmente prepotenti, realmente “sadici”, nascono dall`incapacità di soddisfare in altri modi il fondamentale bisogno di sentirsi riconosciuto come soggetto.
c) “Ti segnalo che non stai gestendo adeguatamente il tuo potere con me, mentre io ho bisogno che tu lo eserciti adeguatamente, in modo più chiaro, coerente ed esplicito, così che io possa orientarmi meglio e trovare così sicurezza”. In questo caso, col capriccio il bambino provoca l`adulto, per poter avere la percezione di essere importante per lui. Gli segnala che ha bisogno che nelle interazioni con lui vengano attivate funzioni “paterne”, benevoli ma ferme, che sanciscano i limiti e le regole. Ha bisogno, in sostanza, che l`adulto gli dica “No”, con fermezza e con chiarezza.
Spesso, quella di ricevere regole ben definite e vincolanti è un`esigenza di percepire attorno a sé un mondo in cui ci si possa muovere con una sufficiente sicurezza, come potrebbe essere per noi adulti l`esigenza che si installino dei chiari ed univoci segnali stradali nel traffico convulso. La fermezza, la coerenza e la sensatezza nel porre le regole fanno parte dell`amorevolezza. E il bambino lo sente.
d) “Ho bisogno di sapere se la persona cui sono affidato è sufficientemente stabile e forte”.
Poche cose sono così angoscianti per un bambino come il constatare che l`adulto cui è affidato è una specie di fragile marionetta in suo potere. L`insicurezza devastante che ne deriva talvolta viene dal bambino affrontata assumendo lui la parte di quello “forte”, che impone il proprio volere. Ma, inevitabilmente, lo farà come può farlo un bambino, senza gran che di esperienza di vita. Sarà, allora, una specie di caricatura di “forza” e di “sicurezza”. Tenderà, così, ad assumere atteggiamenti dispotici, dittatoriali, che rischiano addirittura di intimidire l`adulto insicuro, soprattutto se si sente per qualunque motivo colpevolizzato verso il bambino medesimo.
e) “Ho bisogno di sapere che non sono solo affidato a te, ma che ho anche un certo grado di autonomia da te”.
Fin dall`epoca dell`allattamento il bambino ha, sì, bisogno di affidarsi e di dipendere dalla mamma, ma ha anche bisogno di sentire riconosciuto un certo grado (all`inizio piccolissimo) di autonomia (nel ritmo e nella durata della suzione, per esempio).
Quando un bambino sente preclusa ogni possibilità di riconoscimento delle sue proprie competenze e del suo proprio realistico grado di autonomia, è possibile che, prima di disperarsi del tutto, cerchi di “forzare” l`adulto con dei capricci. Il guaio è che, di solito, in tal modo ottiene il risultato opposto: si fa percepire, infatti, come troppo piccolo, inaffidabile, “capriccioso”, da tenere ancor più sotto tutela.
f) “Ho bisogno di percepire me come soggetto della mia vita e ti segnalo la necessità che tu te ne accorga e che mi riconosca in questo mio bisogno”.
Per il benessere psichico e relazionale, un elemento di base indispensabile è avere la possibilità di sentirsi, di essere, e di essere riconosciuto dagli altri come soggetto della propria vita e della propria esperienza. Il bambino ha bisogno che sia sistematicamente riconosciuto dagli adulti che si occupano di lui il valore del suo sentire, del suo pensare, del suo desiderare e del suo volere. Questo non vuol dire che gli si debba dare il potere su tutto e su tutti, o che si debba sottomettersi al suo pensiero o al suo sentire, o che ogni suo desiderio debba essere legge. Quello che lui sente, pensa, desidera e vuole è importante, se ne tiene conto, ma deve inserirsi nel mondo complessivo guidato dagli adulti, in cui le leggi le stabiliscono i grandi. Per il bambino, come del resto per tutti noi, è più importante sentirsi riconosciuto come soggetto desiderante, piuttosto che non ottenere la cosa desiderata. Si può riconoscere che, sì, il gelato è una gran bella cosa (anche se i dietisti, giustamente, non sono affatto d`accordo...), ma che questa volta non lo si compera.


Ricapitolando e precisando: gli ambiti in cui si muovono le interazioni sul piano relazionale importante, implicito, del capriccio sono, dunque: l`amore; il potere mio; il potere tuo; la forza, la stabilità e la chiarezza; l`essere affidato e l`essere emancipato; la soggettività.
Comunque sia, tanto sul piano relazionale esplicito di superficie, quanto su quello implicito, nell`attivarsi di un capriccio avvengono delle interazioni che è possibile riconoscere e che è necessario gestire in quanto tali su tutti due i piani. Il bambino, nel momento in cui chiede qualche cosa attraverso un capriccio, immette sui due piani della relazione almeno quattro elementi: 1) il desiderio di superficie (per esempio: il famoso gelato), collegato con il bisogno profondo (per esempio: la rassicurazione sull`essere amato, o la chiarezza del rapporto di potere); 2) l`aspettativa deludente e angosciante che il desiderio di superficie non verrà soddisfatto e che il bisogno profondo verrà misconosciuto; 3) l`espressione rabbiosa e la protesta contro questa prevista frustrazione; 4) la spinta per costringere l`interlocutore a modificare il proprio atteggiamento.
È ben comprensibile, allora, che l`adulto, che si sente investito dalla turbolenza di queste “onde” relazionali (angosciate, accusatorie, pretestuose, rabbiose), possa perdere l`orientamento e annaspare.
Si resta spesso fissi sul piano di superficie. Per come si presenta il fenomeno “capriccio”, quasi mai i due che vi si trovano coinvolti (bambino e adulto) arrivano a cogliere e a “negoziare” il rapporto sul piano relazionale importante, che così rimane implicito: si fermano (quasi) sempre al solo piano di superficie, che, come entrambi più o meno chiaramente sanno, è pretestuoso. Questo ingenera frustrazione e rabbia in entrambi, sia nel mentre che si svolge la relazione del capriccio sia dopo, quando il capriccio è stato accantonato.


Quasi mai il capriccio viene superato. Per fare questo, è indispensabile che sia individuato il piano importante implicito e che le interazioni proseguano su quel piano, abbandonando quello pretestuoso di superficie. Anziché risolto o superato, quasi sempre il capriccio viene accantonato, perché le interazioni permangono fino alla fine dell`episodio solo sul di per se stesso irrilevante piano pretestuoso, e lasciano immodificata ogni cosa sul piano importante, implicito.
L`uscita dall`episodio relazionale del capriccio, infatti, quasi sempre avviene quando uno dei due “cede”, “dandola vinta” all`altro sul piano pretestuoso, cosa che risulta frustrante per entrambi i partner relazionali, e che lascia in entrambi uno strascico di rancore e livore. Entrambi si sentiranno cattivi, e quindi in colpa: sia il “vincitore” sia il “vinto”, comunque siano andate a finire le cose.


La rabbia. La rabbia che investe i partner relazionali durante l`episodio “capriccio” ha molte motivazioni, la principale delle quali è il senso di impotenza legato al fatto che si percepisce che ci si sta occupando di una stupidaggine, mentre il vissuto è quello di chi sta trattando qualche cosa di vitale. È principalmente l`equivoco che fa arrabbiare, il sentirsi non capiti, non considerati e, soprattutto, contraddetti su qualcosa di importante che viene misconosciuto. E che permane misconosciuto, anche quando uno dei due la spunta. In ogni caso i due restano rabbiosi, anche quello che viene accontentato, sia esso il genitore o sia il bambino.
Pubblicità televisiva e capricci. La pubblicità televisiva, nella quale sono quotidianamente immersi i nostri bambini (come del resto noi genitori), favorisce gli equivoci fra oggettino posseduto e realizzazione di sé, fra oggettino donato e relazione di amore. Essa è, quindi, un potente terreno preparatorio per l`instaurarsi della relazionalità “capriccio”, che, per l`appunto, è strutturata sulla sostituzione di un piano profondo importante con un effimero piano superficiale concreto.
Attenzione: non tutto è “capriccio”. Ci sono espressioni eclatanti di angoscia disperata che non sono “capricci” e che sarebbe deleterio considerare tali. In esse, è differente la struttura relazionale: manca il livello superficiale esplicito concreto (come il gelato dell`esempio ricorrente).
Il bambino, per esempio, si rotola per terra, gridando disperato che a scuola non ci vuole andare. È visibilmente angosciato, ma sembra non sapere o non osare dire perché. Al bambino viene da imboccare la strada di questo tipo di attivazione relazionale così clamorosa (anziché le usuali modalità comunicative) quando sente o pensa di non poter trovare ascolto o aiuto per ciò che lo angoscia oltre misura. Può essere che si vergogni o che si senta in colpa a mostrare ai genitori la propria angoscia e la situazione che la genera, e che dia per scontato che o non verrà creduto, o verrà disprezzato, o verrà sgridato e punito.
L`angoscia può essere innescata dalla paura per un pericolo reale (Per esempio: “Ci sono dei grandi che mi minacciano”), o per la previsione di una intollerabile umiliazione (“Dovrò cantare davanti a tutti, e non sono capace”).
Queste comunicazioni disperate devono essere prese molto sul serio, facendo sentire al bambino che si ha una genuina intenzione di capirlo e di aiutarlo, e che si sta dalla sua parte. Bisognerà cercare di comprendere che cosa lo angoscia e perché, aiutandolo poi ad affrontare la situazione in modi realistici ed efficaci, magari inventando insieme opportune “strategie”. Spesso, già il solo percepire di essere stato preso davvero sul serio costituisce un valido aiuto, che facilita in lui il reperimento e l`attivazione di proprie adeguate risorse.

Paolo Roccato - "Come nascono i capricci"

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"La donna è chiamata a ricordare all’uomo il bene e il bello di cui lui è capace e che lui tende a dimenticare quando vive al ribasso. La donna aiuta l’uomo ad alzare lo sguardo verso il di più, l’umanità è affidata alla donna, che prima ancora dell’uomo, vede l’uomo.
Forse nell’ansia di emanciparci ci siamo dimenticate di quanto sia preziosa la nostra chiamata, e ci dimentichiamo che invece la nostra fragilità non è una debolezza, ma è ciò che ci rende capaci di fare spazio, di essere fondamentali quando entra in gioco la vita. La donna fa spazio, allarga, l’uomo mette i confini, costruisce i muri, a cui poi possono appoggiarsi i ponti, ma sempre a partire da un’identità salda, che l’uomo aiuta a costruire per tutta la famiglia.
La donna e l’uomo quando decidono di stare insieme, magari sull’onda del sentimento, forse non sempre sanno a quale fatica andranno incontro: è un lavoro su di sé continuo quello che stanno cominciando. La donna dovrà rinunciare alla sua volontà di controllo sull’uomo, alla sua tentazione di manipolarlo, per imparare un amore libero che sa partire dal bene che c’è, e accoglie e riceve senza chiedere, controllare, misurare. E anche l’uomo deve fare un lavoro su di sé, per vincere la sua tentazione dell’egoismo, la tentazione di tenere una parte di vita per sé, non totalmente coinvolta, non totalmente spesa."


giovedì 2 luglio 2015

Lettera aperta di una mamma all'on. Fedeli.


"on. Fedeli,
ascoltando le sue parole riguardo alla sua proposta di legge, lei dice che "vuole difendere nella loro unicità tutti i bambini e le bambine con l’introduzione nei vari livelli di istruzione della parità di genere. Tutto questo significa educare alle differenze e alla non violenza”, mi sono posta una domanda...
Ma secondo voi le uniche discriminazioni sono sessuali?
Ma secondo voi all'asilo o alla scuola primaria esistono bambini che non giocano con gli altri perché hanno fatto scelte sessuali differenti?

Non so che bambini frequentiate voi, ma io lavoro da più di 10 in ambito infantile e sono mamma e non ho mai sentito un bambino porsi problemi riguardo al tipo di scelta sessuale che voleva fare.
Piuttosto lavorando con bambini e ragazzini disabili ho sentito e visto tanti bambini non riuscire a integrarsi a scuola o in altri posti e soffrire del modo in cui venivano trattati.
Avendo un figlio con lievi tratti del disturbo pervasivo mi sono io stessa trovata a dover iscrivere mio figlio a delle lezioni di nuoto singole ( pagando il doppio) perché l'istruttore riteneva che mio figlio non fosse adeguato per stare in un gruppo o a non portarlo al parco giochi perché il ragazzino di turno vedendolo comportarsi in modo diverso ha chiesto "ma che sei Down?" ridendo...
E mio figlio fa una vita normalissima!
Mi chiedo: ma perché nessuno ha fatto un disegno di legge per loro? Per il bambino obeso, o per il "quattrocchi" o per i disabili che ancora nelle scuole vengono chiamati da alcuni insegnanti "bambini H". Perché nessuno ha fatto una legge per la "disabile-fobia"? Perché nessuno rischia un mese di carcere per aver messo la macchina sullo scivolo impedendo a una persona in carrozzina di poter andare a casa o a lavoro? Perché nessuno rischia di andare in carcere se dice a un disabile "ma che sei autistico"? Perché nessuno rischia di finire in carcere se dice che la condizione del Down non è la normalità?
Anzi...
Un bambino down o con una qualsiasi alterazione genetica, nasce così; quella è la sua normalità; eppure dal mondo intero viene definita "patologia" e nessuno grida allo scandalo, anzi si producono screening prenatali per poterli identificare e abortire con il beneplacito della legge che parla di aborto terapeutico. Perché nessuno grida allo scandalo? Perché in questo caso nessuno dice "ma se nascono così chi siamo noi per giudicare"?
Certe argomentazioni giuste o meno (non spetta a me dirlo) devono valere per tutti: non solo per alcuni a secondo delle convenienze!
Mi scusi, lei parla di permettere ai ragazzi di scegliere nella libertà cosa vogliono essere... Beh, un disabile, un bambino autistico, un bambino dislessico non può decidere!
Non si sceglie lui di essere "diverso"; eppure di loro non vi preoccupate minimamente!
In molte scuole mancano gli accorgimenti basilari per un bambino "speciale" (come mi piace definirli); non ci sono aule adeguate, non ci sono spazi e giochi adeguati a loro... Voi volete spendere milioni per i corsi di aggiornamento dei docenti sulla parità di genere... mentre la maggior parte degli insegnanti di sostegno non ha neanche idea di cosa abbia il bambino che deve seguire e tanto meno di come aiutarlo.
Perché invece di proporre questi pseudo-corsi che voi spacciate per insegnamento della tolleranza e delle differenze non cominciamo a insegnare ai bambini che Down non è un insulto, che "autistico" non è lo stesso che "stupido"? Piuttosto insegnamo a rispettare l'UOMO, insegnamo che tutti siamo umani, ognuno con le sue diversità che meritano rispetto che siano di razza, religione, luogo di nascita, diversità fisica e di pensiero, invece di insegnare che siamo tutti uguali che siamo intercambiabili, che ognuno può decidere liberamente di essere quello che vuole...: perché non è vero!
Le assicuro che un bambino che è paralizzato alle gambe, per quanto possa dire che si muove e che cammina, non inizierà a farlo solo perché decide!
Né un bambino down, solo perché decide, può essere diverso da quello che è... Questa è pura verità! Non è vero che si può sempre scegliere cosa essere; UN disabile NON Può!
Ma si può decidere di essere UOMINI con una dignità che esula dalle scelte. Solo insegnando questo si può evitare il bullismo e far fiorire la tolleranza. Solo se si rispetta prima di tutto l'essere umano in quanto valore si può andare d'accordo anche avendo idee diametralmente opposte. Non è tolleranza costringere tutti a pensarla come noi!
Spero di sbagliare, ma sembra proprio che gli unici che meritano rispetto e per cui siete disposti a fare di tutto sono le categorie che hanno alle spalle tanti soldi da fare girare e, certo, le associazioni dei genitori di bambini con patologie di diverso genere non hanno poteri forti alle spalle che possono influenzare politica ed economia... quindi contano poco...
Spero veramente di sbagliare ma purtroppo so che non è così!

Una mamma alquanto perplessa e arrabbiata!"

lunedì 15 giugno 2015

Madre

Dall'udienza generale di Papa Francesco di mercoledì 7 gennaio 2015



" [...] Continuiamo con le catechesi sulla famiglia e nella famiglia c’è la madre. Ogni persona umana deve la vita a una madre, e quasi sempre deve a lei molto della propria esistenza successiva, della formazione umana e spirituale. La madre, però, pur essendo molto esaltata dal punto di vista simbolico, - tante poesie, tante cose belle che si dicono poeticamente della madre - viene poco ascoltata e poco aiutata nella vita quotidiana, poco considerata nel suo ruolo centrale nella società. Anzi, spesso si approfitta della disponibilità delle madri a sacrificarsi per i figli per “risparmiare” sulle spese sociali.

Accade che anche nella comunità cristiana la madre non sia sempre tenuta nel giusto conto, che sia poco ascoltata. Eppure al centro della vita della Chiesa c’è la Madre di Gesù. Forse le madri, pronte a tanti sacrifici per i propri figli, e non di rado anche per quelli altrui, dovrebbero trovare più ascolto. Bisognerebbe comprendere di più la loro lotta quotidiana per essere efficienti al lavoro e attente e affettuose in famiglia; bisognerebbe capire meglio a che cosa esse aspirano per esprimere i frutti migliori e autentici della loro emancipazione. Una madre con i figli ha sempre problemi, sempre lavoro. Io ricordo a casa, eravamo cinque figli e mentre uno ne faceva una, l’altro pensava di farne un’altra, e la povera mamma andava da una parte all’altra, ma era felice. Ci ha dato tanto.

Le madri sono l’antidoto più forte al dilagare dell’individualismo egoistico. “Individuo” vuol dire “che non si può dividere”. Le madri invece si “dividono”, a partire da quando ospitano un figlio per darlo al mondo e farlo crescere. Sono esse, le madri, a odiare maggiormente la guerra, che uccide i loro figli. Tante volte ho pensato a quelle mamme quando hanno ricevuto la lettera: “Le dico che suo figlio è caduto in difesa della patria…”. Povere donne! Come soffre una madre! Sono esse a testimoniare la bellezza della vita. L’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero diceva che le mamme vivono un “martirio materno”. Nell’omelia per il funerale di un prete assassinato dagli squadroni della morte, egli disse, riecheggiando il Concilio Vaticano II: «Tutti dobbiamo essere disposti a morire per la nostra fede, anche se il Signore non ci concede questo onore… Dare la vita non significa solo essere uccisi; dare la vita, avere spirito di martirio, è dare nel dovere, nel silenzio, nella preghiera, nel compimento onesto del dovere; in quel silenzio della vita quotidiana; dare la vita a poco a poco? Sì, come la dà una madre, che senza timore, con la semplicità del martirio materno, concepisce nel suo seno un figlio, lo dà alla luce, lo allatta, lo fa crescere e accudisce con affetto. E’ dare la vita. E’ martirio». Fino a qui la citazione. Sì, essere madre non significa solo mettere al mondo un figlio, ma è anche una scelta di vita. Cosa sceglie una madre, qual è la scelta di vita di una madre? La scelta di vita di una madre è la scelta di dare la vita. E questo è grande, questo è bello.

Una società senza madri sarebbe una società disumana, perché le madri sanno testimoniare sempre, anche nei momenti peggiori, la tenerezza, la dedizione, la forza morale. Le madri trasmettono spesso anche il senso più profondo della pratica religiosa: nelle prime preghiere, nei primi gesti di devozione che un bambino impara, è inscritto il valore della fede nella vita di un essere umano. E’ un messaggio che le madri credenti sanno trasmettere senza tante spiegazioni: queste arriveranno dopo, ma il germe della fede sta in quei primi, preziosissimi momenti. Senza le madri, non solo non ci sarebbero nuovi fedeli, ma la fede perderebbe buona parte del suo calore semplice e profondo. E la Chiesa è madre, con tutto questo, è nostra madre! Noi non siamo orfani, abbiamo una madre! La Madonna, la madre Chiesa, e la nostra mamma. Non siamo orfani, siamo figli della Chiesa, siamo figli della Madonna, e siamo figli delle nostre madri.

Carissime mamme, grazie, grazie per ciò che siete nella famiglia e per ciò che date alla Chiesa e al mondo. E a te, amata Chiesa, grazie, grazie per essere madre. E a te, Maria, madre di Dio, grazie per farci vedere Gesù. E grazie a tutte le mamme qui presenti: le salutiamo con un applauso!"

domenica 1 marzo 2015

[libri] - La compagnia dell'agnello

<a href="http://www.amazon.it/gp/product/8845425819/ref=as_li_tf_tl?ie=UTF8&camp=3370&creative=23322&creativeASIN=8845425819&linkCode=as2&tag=ultimobyte-21">Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell'agnello</a><img src="http://ir-it.amazon-adsystem.com/e/ir?t=ultimobyte-21&l=as2&o=29&a=8845425819" width="1"
Non sono una fan di Costanza Miriano, quindi ero leggermente prevenuta nella lettura. Temevo un libro eccessivamente rivolto a fedeli inossidabili. Invece no. Il libro scorre quella vita che tutte le madri/mogli/lavoratrici vivono oggi e che quasi sempre e' causa di enorme frustrazione ed insoddisfazione. La Miriano apre gli occhi a chi ha la fortuna di avere una famiglia non solo facendoci riassaporare le gratificazioni che gia' conosciamo ma dando un senso a tutti i momenti di sconforto e scoramento. Da leggere!

"Obbedire è meglio. Le regole della Compagnia dell'agnello" - Costanza Miriano

giovedì 26 febbraio 2015

[Ricetta Bimby] - Torta al cioccolato fondente


Ingredienti:

100 gr di cioccolato fondente | 100 gr di latte | 100 gr di burro | 90 gr di zucchero | 170 gr di farina | 1 bustina di lievito | 3 uova

Preparazione:

- mettere il cioccolato fondente e tritare per qualche secondo alla massima velocità
- aggiungere il latte, il burro e lo zucchero e far sciogliere il tutto 4 min. vel. 4 60°
- (ottenuta una crema) far raffreddare (almeno 37°)
- aggiungere la farina e 1/2 bustina di lievito, 15 sec. vel. 4
- aggiungere le uova, l'altra mezza bustina di lievito e la vanillina 8-10 sec. vel. 4
- mettere in una tortiera imburrata e infarinata e cuocere in forno a 180° per 30 min.
- terminare con una semplice spolverata di zucchero a velo.

 

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