lunedì 30 settembre 2013

Cara Boldrini, sono una mamma che serve la famiglia a tavola e ne va fiera

Le parole della Boldrini sono state un offesa per molte donne e mamme...
Condivido volentieri la bella lettera di Silvia Cirocchi rivolta al nostro Presidente della Camera:


Laura BoldriniCara Presidente Boldrini,
Lei ha un dono innato, che è quello di riuscire a sminuire il ruolo della donna come pochi altri. Incredibilmente si accanisce nel disperato tentativo di ergersi a paladina del sesso femminile e come in ogni tragicommedia che si rispetti ottiene il risultato opposto.
Con queste Sue affermazioni è riuscita ad offendere non solo la quasi totalità delle donne, ma anche la figura della famiglia, così come gli italiani la concepiscono. Perché, Presidente, la famiglia non è composta dal Genitore 1 che serve a tavola il Genitore 2 e la rispettiva prole in una situazione di sottomissione, la famiglia come la vediamo noi è un po’ diversa. Ha presente il piacere che può provare una madre – mi perdoni se mi permetto di utilizzare un termine così obsoleto – dopo una giornata di duro lavoro a preparare una cena per suo marito e i loro figli, servirli a tavola e trascorrere con loro probabilmente l’unico momento della giornata davvero in famiglia?
Se non lo sa glielo dico io, e Le dico anche che nel vedere in una pubblicità una mamma che porta la cena a tavola non c’è nulla che sminuisca o offenda la figura della donna. Mia nonna ha dedicato la sua vita a fare questo e mi creda, non ha avuto rimpianti nemmeno per un secondo.
Io lavoro, e quando cucino trascorro uno dei pochi momenti rilassanti della giornata proprio perché so che li trascorrerò con mio marito e mio figlio.
Negli altri Paesi europei una pubblicità simile non sarebbe mai stata trasmessa? Non ne dubito, gli altri Paesi non sono l’Italia, non hanno la nostra cultura per il cibo e le nostre abitudini familiari.
Probabilmente gli altri Paesi europei non hanno nemmeno un Presidente della Camera che crede di dover rappresentare il popolo femminile.
Presidente faccia il Suo lavoro, faccia ciò che compete alla terza carica dello Stato. Il Suo è un ruolo istituzionale, non una missione umanitaria, il parlamento ha eletto un rappresentante di SEL, non Madre Teresa di Calcutta.
La disparità tra uomo e donna cesserà quando si smetterà di vedere la donna come un essere indifeso da tutelare e proteggere. Solo allora ci sarà davvero un rapporto paritario. Se proprio vuole sposare una causa sposi questa.
E ora mi scusi, devo andare a preparare la cena per la mia famiglia, non so se anche Lei può dire di avere la stessa fortuna.

fonte Qelsi

venerdì 6 settembre 2013

Che lavoro fai?


Un giorno una signora di nome Anna andò a rinnovare la carta d’identità.
Quando le chiesero quale fosse la sua professione, rimase interdetta perché non sapeva come classificarsi. L’impiegato insistette: “Quello che le chiedo è se ha un lavoro”.
“Certo che ho un lavoro!", esclamò Anna. “Sono mamma."
“Essere mamma non lo consideriamo un lavoro. Scrivo “casalinga", disse freddamente l’impiegato.
Una sua amica, di nome Marta venne a sapere quello che le era successo e si fermò a pensarci su...Un giorno si trovò anche lei nella stessa situazione. L’impiegata era una donna in carriera, attiva e sicura di sé. Il modulo da riempire era enorme, interminabile.
La prima domanda era: “Qual è la sua professione?" Marta ci pensò un po’ e poi senza nemmeno sapere come rispose:

 “Mi occupo di sviluppo infantile e relazioni umane”.
L’impiegata fece una pausa e Marta dovette ripetere lentamente soffermandosi sulle parole più significative. Compilato il modulo, l’impiegata volle saperne di più. “Signora, posso chiederle che cosa fa esattamente?”. Senza la minima traccia di agitazione nella voce e con molta calma Marta spiegò:
“Sviluppo un programma a lungo termine, dentro e fuori di casa."
Pensando alla sua famiglia, continuò:

"Sono responsabile di una squadra ed ho ricevuto già quattro progetti. Lavoro in regime di coinvolgimento esclusivo 14 ore al giorno, a volte fino a 24 ore.”
Man mano che descriveva le sue responsabilità Marta notò un crescente tono di rispetto nella voce dell’impiegata.
Quando tornò a casa, Marta fu accolta dalla sua squadra: una ragazza di 13 anni, un bimbo di 7 e un altro di 3.
“Mamma, dove sono le mie scarpe? Mamma, mi aiuti ad allacciarle? Mamma il piccolino non smette di piangere. Mamma, mi vieni a prendere quando esco di scuola? Mamma vieni domani alla recita di fine d’anno? Vai a fare la spesa mamma?...Mamma....” Mentre preparava il pranzo poté ascoltare il suo ultimo progetto: un bebè di sei mesi, che si stava esercitando a provare tutte le tonalità di voce.
Felice, Marta prese in braccio il piccolino e pensò al grande compito della maternità, con le sue innumerevoli responsabilità e interminabili ore di straordinari...


 

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